Focus: Capitale Clienti

In un post precedente definivo molto sommariamente il capitale clienti come “insieme di relazioni che vengono instaurate con clienti/partner esterni e che risultano essere fondamentali per l’esistenza ed il successo di un’impresa”.

Il capitale clienti rappresenta il punto di intersezione tra l’impresa ed i suoi partner, è generazione di valore condiviso che porta benefici ad entrambe le parti.

Più semplicemente, il capitale clienti può essere così sintetizzato:

  • tutto ciò che noi conosciamo riguardo i nostri clienti (e che ci rende capaci di vendere a loro)
  • tutto quello che loro sanno di noi (e che fa in modo che loro comprino da noi)

In questo ambito rientrano ovviamente tutte quelle caratteristiche hard e soft incorporate nel prodotto/servizio che vendiamo: qualità, utilità, prezzo, immagine, marchio, servizi aggiuntivi, assitenza post vendita, strategie di marketing, relazioni con i clienti, mode e tendenze ecc.

Quello che è importante è riuscire a controllare questi fattori, se alcuni possono essere influenzati in modo limitato (ad esempio le mode e tendenze del momento), altre rientrano invece nella sfera di discrezionalità dell’impresa

Qualche esempio?

Un buon venditore sa che cosa vuole la sua clientela, la conosce, la studia, sa esattamente che quando va dal cliente X, deve comportarsi in un certo modo, perché il cliente X è un tipo fatto così. X compra da noi, non soltanto perché il nostro venditore è uno in gamba, che ci sa fare, ma anche perché conosce il nostro marchio, molti suoi partner gliene hanno parlato bene, lui l’ha provato ed è soddisfatto. Quello che lui sa di noi è merito nostro, abbiamo deciso noi, più o meno indirettamente, che lui conoscesse la nostra azienda basandosi su certi presupposti. Non è certamente il caso a guidare l’acquisto di un nostro cliente.

Possiamo tentare di misurare il capitale clienti?

Certamente si, ma come spesso accade in questo contesto, è difficile misurare e soprattutto dare valore alle relazioni tra l’impresa ed cliente, risulta invece più facile ed intuitivo utilizzare degli indicatori che ci forniscano indirettamente delle informazioni sullo stato del nostro capitale clienti.

Vi riporto qui sotto un esempio molto semplice, che analizza il portafoglio clienti calassificando i nostri acquirenti in base al momento in cui abbiamo iniziato a servirli. Il nostro obiettivo tra un anno e l’altro non dovrebbe essere solo quello di incrementare il numero dei clienti nuovi (che tra il resto è generalmente più difficile e dispendioso), ma di farli restare con noi, incrementando il fatturato che generano. Idealmente nel corso del tempo dovremmo far cercare di spostare i clienti dalla prima riga alla seconda, poi alla terza ecc. aumentando il fatturato che viene generato dai clienti più “anziani”. Nell’esempio come potete facilmente notare il fatturato medio per cliente è fortemente a favore dei clienti che sono con noi da oltre 5 anni. Costruire una tabella come questa non è molto complicato, ai dati riportati in questo esempio possiamo aggiungere tutte le informazioni ed i calcoli che ci possono essere d’aiuto nelle nostre analisi.

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Infine, un altro aspetto da non sottovalutare nella gestione del capitale clienti è rappresentato dal modo in cui creiamo valore assieme ai nostri partner. Ciò che generiamo dovrebbe essere il risultato di un rapporto bilanciato, possiamo infatti creare molto valore per i nostri clienti, ma questo valore potrebbe non essere ricompensato nel modo adeguato. Al contrario potremmo richiedere un prezzo troppo elevato per il valore che abbiamo creato. Lo schema qui sotto è abbastanza esemplificativo.

Prezzo e costo per il servizio, dovrebbero andare di pari passo, altrimenti la nostra azienda è esposta a due rischi. Se vendiamo ad un prezzo troppo alto in relazione al valore che creiamo, rischiamo che un bel giorno il nostro cliente si accorga che con noi non sta facendo buoni affari e potrebbe decidere di rivolgersi altrove. Se invece offriamo molto valore ad un cliente, ma non siamo in grado di farci ricompensare per quanto offerto, corriamo il rischio di rimetterci dalle nostre tasche.

Simone

Balanced scorecard e asset intangibili

La Balanced Scorecard è probabilmente stato il primo metodo di misurazione di variabili non finanziare ad essere introdotto su larga scala e ad aver avuto un successo notevole. Per meglio inquadrarla nell’universo dei metodi di misurazione degli intangibles, potete far riferimento ad un precedente articolo apparso su questo blog.

La bilance scorcard è nata all’inizio degli anni 90 (Kaplan e Norton, 1992, Balanced Scorecard: Measures that drive performance, Harvard Business Review Jan-Feb), come strumento del controllo di gestione per monitorare gli aspetti non economico-finanziari dell’impresa. La sua struttura prevede quattro score card (ossia quattro “tabelle” in cui inserire le variabili da controllare), che corrispondono a quattro prospettive diverse:

  • finanziaria
  • apprendimento e crescita
  • processi interni
  • clienti

Lasciando per un attimo da parte la prospettiva che si riferisce a grandezze di tipo finanziario e concentrandoci invece sulle altre tre, possiamo facilmente accorgerci come vi sia una stretta analogia con i tre elementi del capitale intellettuale, che può essere sintetizzata nella tabella seguente.

Capitale Intellettuale

Balanced Scorcard

Capitale Umano Apprendimento e Crescita
Capitale Strutturale Processi Interni
Capitale Clienti Clienti

Le dimensioni trattate dalla Balanced Scorecard sono, al lato pratico, le stesse delle teorie del Capitale Intellettuale, con la differenza però, che ci troviamo di fronte ad un vero e proprio sistema di scoring delle attività aziendali. Il capitale intellettuale è invece prima una teoria, una visione dell’impresa, che poi ha dato adito alla creazione di modelli di misurazione/rappresentazione delle sue componenti. Con la Balanced scorcard ci troviamo quindi di fronte ad un sistema già pronto, che può essere utilizzato per monitorare gli asset intangibili della nostra impresa.

La struttura delle tabelle utilizzate per le quattro aree implica di fatto un orientamento all’azione ed un controllo budget/risultati reali continuo, come è facile notare dall’esempio riportato qui sotto.

Ci facciamo una domanda e rispondiamo di conseguenza con un piano d’azione che include obiettivi, misurazioni, target (relativi alle grandezze da misurare) ed iniziative poste in essere per raggiungere l’obiettivo. A me pare un ragionamento abbastanza semplice e lineare. Certo è importante focalizzarsi sulle misurazioni, dobbiamo decidere cosa misurare in relazione ai nostri obiettivi, siamo costretti dal sistema a porre attenzione ad aspetti che prima forse non consideravamo. Ci siamo mai chiesti, ad esempio, di quali competenze ha bisogno la nostra azienda da qui a 10 anni? Cosa vorremmo che sapessero fare i nostri collaboratori in accordo con la nostra strategia? Un metodo di questo tipo ci aiuta nel gestire questi aspetti, ed è proprio per queste ragioni che io credo che la Balanced Scorecard possa essere un valido e semplice metodo di gestione degli asset intangibili con un particolare orientamento all’azione. Lo trovo inoltre facilmente applicabile anche ad una piccola-media impresa ed anzi, chi ha voglia di eccellere, farebbe bene a pensare di dotarsi di strumenti simili.

La Balanced Scorecard è stata anche integrata da Beatty, Huselid e Schneier (2003, Scoring on the Business Scorecard, Organizational Dynamics, Vol. 32, n°2, pagg. 107-121): la parte relativa all’Apprendimento ed alla Crescita viene ampliata per far spazio alla HR Scorecard, che si focalizza quindi sulla gestione delle risorse umane.

©Beatty, Uselid e Schneider (2003)

Questa visione, naturalmente, si focalizza sul capitale umano e sulla sua gestione, trovando un punto di connessione con la classica Balanced Scorecard, in un ottica di gestione olistica dell’impresa.

Per concludere, possiamo quindi affermare che la Balanced Scorecard, sebbene inizialmente nata come uno strumento del Controllo di Gestione, sia in realtà un metodo di misurazione degli asset intangibili, che può essere contestualizzato e che può trovare facile applicazione per il suo orientamento ai risultati e per le implicazioni stratetiche che comporta la sua implementazione. Definire gli obiettivi con i relativi indicatori, significa mettersi a pensare che cosa vogliamo fare in futuro, cosa vogliamo che diventi la nostra azienda, quali saranno i nostri clienti, come dovranno essere i nostri collaboratori e come la nostra struttura dovrà supportare ed adattarsi alle nostre decisioni. Il modello si può applicare anche ad una micro impresa, pensare in questi termini permette di acquisire capacità gestionali orientate al medio-lungo termine.

Simone

Capitale umano: i miei collaboratori sono felici?

Qualche tempo fa lessi il libro dello psicologo/filosofo Umberto Galimberti “I miti del nostro tempo” e rimasi stupito da alcune frasi che recitano più o meno così: “si parla molto spesso di motivazione del personale, dimenticandosi di un aspetto fondamentale: la felicità”; “ogni apparato tecnico (l’impresa), mal sopporta gli inconvenienti umani: stanchezza, depressione, amori, malattia, maternità e tutti quegli aspetti della vita che confliggono con la regolarità, l’impersonalità e l’efficienza”.

Queste poche parole mi hanno fatto pensare molto, soprattutto perché scritte da un “non addetto ai lavori”, ma forse proprio per questa ragione riescono ad avere un effetto ancora maggiore, probabilmente è proprio la distanza dal mondo aziendale che rende l’analisi efficace e pungente.

Che cosa c’entra questo con gli asset intangibili? Il capitale umano è semplicemente l’asset più importante che un’azienda abbia a sua disposizione. Capita spesso che nelle aziende si dedichi più tempo alla manutenzione delle macchine, che alla cura dei propri collaboratori, che, metaforicamente, alla stessa stregua delle macchine, hanno bisogno di attenzioni continue per funzionare al meglio. Ci ricordiamo sempre di fare la revisione all’auto perché altrimenti non ci lasciano più circolare, ma facciamo lo stesso con i nostri collaboratori? Vi siete mai chiesti se i vostri collaboratori/colleghi siano felici di fare quello che stanno facendo in azienda? E se non è così vi siete mai chiesti il perché? Forse la domanda risulta retorica ed ovviamente non è solo la vita lavorativa che influisce sulla felicità di un individuo, ma credo che sforzarci cercando di rendere la nostra azienda un luogo piacevole, possa essere la chiave di volta per ottenere molti risultati. Con questo mi riferisco non solo a chi nella scala gerarchica gestisce dei collaboratori, ma anche a chi lavorando fianco a fianco con i propri colleghi può influenzare il proprio clima di lavoro.

Personalmente ritengo che considerare la natura umana nella sua totalità, che come ben dice Galimberti, include quegli aspetti che molto spesso vengono mal digeriti in tante imprese, rappresenti la possibilità di aprirsi la strada verso performance aziendali fuori dal comune. Un’imprenditore (o un manager) che riconosca nell’individuo questi aspetti e che li rispetti, fa sentire il dipendente parte della famiglia e lo rende partecipe all’attività d’impresa, perché se l’impresa lo capisce, lo aiuta nei momenti di difficoltà, lo sostiene, è molto probabile che lui faccia altrettanto.

Sappiamo bene quanto possa rendere una persona felice di fare il proprio lavoro in un luogo dove il suo talento viene riconosciuto e dove l’azienda si prende cura di lui.

E lo stipendio direte voi? Eh si anche quello conta, come ci ha insegnato Maslow nella sua piramide, ci sono alcuni bisogni che vengono prima della realizzazione personale. Ancora una volta direi che in un’azienda che ha voglia di eccellere, un sistema retributivo adeguato dovrebbe essere scontato, anche se… “i soldi non fanno la felicità” e aggiungerei nemmeno la performance!

Non chiedetemi se la felicità si possa misurare in modo diretto perché la risposta è scontata, però ci sono alcuni indicatori che ci possono far sentire la puzza di bruciato, come ad esempio l’assenteismo e la disponibilità agli straordinari. Indirettamente ci sono un sacco di avvisaglie che possiamo cogliere, se qualcosa in azienda non va (vendiamo poco, siamo poco produttivi ecc.), proviamo a farci una di quelle domandine, mettiamoci gli occhiali dello psicologo e proviamo a capire perché i nostri collaboratori non sono felici. Attenzione però, accettare tutto ciò significa anche mettere in gioco se stessi.

Per concludere lasciatemi dire che questo modo di agire potrebbe avere delle ricadute sociali notevoli.

Simone

Come si misurano gli asset intangibili?

Come molti di voi già sapranno la questione più spinosa, ma allo stesso tempo più avvincente ed interessante, relativa agli asset intangibili è la loro misurazione. Tentare di misurare qualcosa che non possiamo toccare e che molte volte è difficile persino da spiegare, non è impresa facile. Ci hanno provato in molti a farlo, con obiettivi e risultati diversi.

La prima cosa che ci possiamo chiedere è: che cosa vogliamo misurare? E poi…per quale ragione lo vogliamo fare? Se ci interessa, ad esempio, avere dei parametri sul capitale umano della nostra azienda oppure stimare il valore monetario degli asset intangibili di un’impresa, dobbiamo essere consapevoli che stiamo facendo due cose molto diverse.

In secondo luogo è necessario essere consapevoli che una delle questioni maggiormente aperte in questo ambito riguarda l’accettazione unanime di una metodologia di misurazione. Giusto per farvi capire in quanti si siano cimentati nel dire la loro, basta guardare questo schema, redatto da Karl Erik Sveiby, uno dei massimi esperti di intangibles, dove in un suo articolo (Methods for Measuring Intangible Assets, 2010) ha raccolto e classificato praticamente tutti i metodi utilizzati fino ad ora.

Come potete vedere ce ne sono veramente tanti ed è molto facile perdersi! Una prima distinzione è quella tra metodi monetari (forse quelli più ambiziosi) e quelli non monetari, quindi tra quei metodi che si prefiggono l’obiettivo di dare un valore in danaro ai nostri intangibles e quelli che invece non hanno questa pretesa. La seconda distinzione è tra i sistemi olistici e quelli atomistici, i primi si interessano di rilevare gli intangibles nel loro complesso, mentre i secondi si occupano delle loro componenti. Sveiby con questa classificazione individua così quattro categorie di metodi: una basata sulla capitalizzazione del mercato, dove per il calcolo è necessario conoscere il valore di mercato dell’impresa, siamo quindi di fronte a metodologie che sono di più facile applicazione per aziende quotate. La seconda categoria si riferisce invece a sistemi di misurazione che si basano sul concetto di “ritorno dell’investimento”, come ad esempio avviene quando si eseguono calcoli di convenienza economica per gli investimenti materiali. Il terzo gruppo di metodi di misurazione, fa riferimento a sistemi di valutazione diretta delle componenti del capitale intellettuale o di sue parti, come ad esempio i tentativi di tradurre in valore monetario il capitale umano. Infine troviamo i sistemi basati su scorecard, ossia su meccanismi di rendicontazione a punteggio, con indicatori non monetari. Questi sono i metodi più diffusi, anche perché trovano applicazione in maniera relativamente facile, attraverso l’adattamento di indicatori di performance legati alle diverse aree del capitale intellettuale. Tra i vari sistemi possiamo citare quello più conoscuto: la Balanced Scorecard di Kaplan e Norton.

Tornando a quanto dicevamo in precedenza, questo è il momento giusto per farci quelle due famose domande: cosa vogliamo misurare e qual è il nostro obiettivo? Vogliamo sapere qual è il valore stimato degli intangibles di un’azienda quotata? Possiamo prendere in considerazione il Market-to-book ratio, che è probabilmente l’indicatore più utilizzato in questi casi, si tratta semplicemente di fare questa operazione: Valore di mercato/Valore contabile, il risultato sarà un coefficiente che ci dice quante volte è contenuto il valore contabile nel valore di mercato, in questo modo sapremo quante volte in più (o in meno) viene valutata una determinata azienda. Per fini pratici questo indicatore potrebbe sembrare inutile ed infatti per chi si occupa di gestione aziendale molto probabilmente lo è, se siamo interessati quindi a gestire il capitale intellettuale dobbiamo rivolgerci ad altri metodi, come ad esempio la famosa Balanced Scorecard, oppure, proprio all’Intangible Asset Monitor di Sveiby. Questi sistemi infatti, hanno l’obiettivo di rendicontare quegli aspetti aziendali che sono legati proprio agli intangible assets. Come potrete immaginare non esiste il metodo perfetto ed è importante ricordare come il contesto di applicazione giochi un ruolo fondamentale nelle modalità di adattamento del metodo alla realtà.

A questo punto, una domanda sorge spontanea: come mai così tanti sistemi e nemmeno uno che sia uniformemente accettato? Il fenomeno degli intangibles ha confini molto labili e non esiste una definizione unanimemente accettata, per cui se non siamo ancora ben certi di che cosa si stia parlando, non possiamo immaginare di misurare gli asset intangibili in modo univoco. Ora si potrebbe dire, ma perché misuriamo questi intangibles se non sappiamo che cosa siano? Come si suol dire, “tra i due estremi la verità sta nel mezzo”: anche se non esiste una teoria comunemente accettata, non possiamo affermare che gli intangibles non esistano ed allo stesso tempo non ci possiamo astenere dal monitorarli.

Non è più possibile sopravvivere con i soli report economico-finanziari, questo molte aziende l’hanno capito già da tempo. Una reportistica economico-finanziaria adeguata è oramai scontata, per sopravvivere nell’arena competitiva, mentre rivolgere la propria attenzione anche agli asset intangibili può essere una grande opportunità per l’impresa. Un moderno sistema di controllo di gestione deve prevedere la misurazione, più o meno esplicita, più o meno codificata, degli asset intangibili. Vi lascio con tre domande, alle quali un sistema di gestione e controllo degli intangibles dovrebbe essere in grado di dare, se non una risposta, almeno un’indicazione di massima.

  • I miei collaboratori stanno bene in azienda e sono in grado di esprimere il loro potenziale? [come sta il capitale umano?]
  • Abbiamo creato un’infrastruttura che faciliti la circolazione delle informazioni, che permetta ed incentivi lo scambio di idee? [come sta il capitale strutturale?]
  • Che cosa pensano i nostri clienti di noi e che cosa sappiamo noi di loro? Perché comprano da noi? [come sta il capitale clienti?]

Simone

Che cosa sono gli intangibles?

Una definizione la potete trovare su wikipedia, anche se ad essere precisi riguarda il capitale intellettuale. Ecco già facciamo confusione! Intangibles e capitale intellettuale sono due cose diverse o sono la stessa cosa? Normalmente i due termini vengono usati quasi come sinonimi, anche se negli intangibles (o intangible assets, o meglio ancora nella nostra lingua asset/beni immateriali) rientrano anche quelle che i ragionieri chiamano immobilizzazioni immateriali, ossia brevetti, marchi, software, modelli, diritti di estrazione ecc., mentre nel capitale intellettuale no. Vi è comunque da sottolineare come quando si parli di intangibles si faccia comunque, e soprattutto, riferimento a quei beni, o forse in questo caso è meglio dire risorse, che hanno natura intangibile, ma che, alla stessa stregua degli investimenti materiali sono in grado di produrre ricchezza. Un esempio classico può essere quello delle risorse umane e delle loro capacità, determinanti per il successo dell’impresa. Il capitale intellettuale, viene normalmente classificato secondo la tripartizione tra capitale umano, capitale strutturale e capitale clienti (magari vedremo in qualche articolo successivo come, personalmente, non sia totalmente d’accordo con questa visione, nonostante sia quella più diffusa). Per capitale umano si intende naturalmente quell’insieme di abilità e competenze delle persone che compongono un’organizzazione e che vengono messe a frutto col fine di raggiungere un deteminato obiettivo. Per capitale strutturale invece, si considera l’infrastruttura dell’organizzazione che è al servizio delle persone, per cui in questo ambito rientrano le procedure, le informazioni contenute nei database e più in generale la conoscenza codificata. Quando si parla di capitale clienti, si intende invece, l’insieme di relazioni che vengono instaurate con clienti/partner esterni e che risultano essere fondamentali per l’esistenza ed il successo di un’impresa.

Un modo semplice ed efficace per dimostrare che il valore di un’impresa va oltre i suoi beni materiali, è quello di fare un confronto tra il suo valore contabile iscritto a bilancio (corrispondente al suo patrimonio netto), ed il suo valore di mercato. Naturalmente il raffronto risulta più semplice per le società di capitali quotate, perché abbiamo un parametro immediato come le azioni con cui ci possiamo raffrontare, ma il concetto è assolutamente valido anche per una micro-impresa, direi addirittura più lampante. Come potete vedere dalla rappresentazione grafica qui accanto, il valore di mercato di un’azienda quotata in borsa, dipende solamente in maniera minore dal suo valore di libro ed in larga parte dal valore dei suoi asset nascosti. Immaginiamo ora una piccola, piccolissima impresa, un professionista, un piccolo artigiano, quali investimenti cospicui in beni materiali potrà mai avere? Eppure se decidesse di cedere la sua attività, ne ricaverebbe un valore senza dubbio più elevato. Molto spesso le micro-imprese sono costituite quasi esclusivamente da asset intangibili, come le capacità del professionista, le sue competenze, la sua esperienza, la sua capacità di presentarsi ai clienti ecc. Forse abbiamo scoperto l’acqua calda? La parte difficile sta nel tentare di gestire e misurare questo valore nascosto (…nascosto fino ad un certo punto!), cercando di sostenerlo e valorizzarlo.

Quindi, per dare una definizione un po’ più ortodossa, relativa ad un’azienda quotata, possiamo dire che il valore di mercato di un’impresa, dato dalla somma delle sue azioni, è più alto di quello iscritto in bilancio (patrimonio netto), la differenza, lasciando per un attimo perdere la volatilità e le speculazioni, è rappresenta proprio dai nostri intangibles, che nella maggior parte dei casi hanno un valore assai maggiore rispetto ai beni materiali.

Naturalmente il mio era solo un assaggio, giusto per farvi capire di che cosa stiamo parlando, se siete dei “neofiti” degli intangibles, vi consiglio due testi (che sono presenti anche nella sezione Bibliografia), che io ritengo essere interessanti per chi voglia avvicinarsi a questo mondo. Il primo, è “Capitale Intellettuale” di Thomas A. Stewart, l’autore è un giornalista di Fortune ed è stato forse lui a coniare il termine capitale intellettuale in uno dei suoi articoli degli anni novanta (Fortune, “Brainpower“), mentre il secondo, che ha un approccio più accademico alla tematica è “Intangibles” di Baruch Lev , l’autore è un docente della Stern School of Management di New York ed è stato uno dei primi che ha tentato di dare forma ad una teoria fondativa che descrivesse a fondo le caratteristiche degli asset intangibili. Un altro documento, con un taglio meno divulgativo, ma di eguale importanza vista l’ampiezza disciplinare con cui viene trattato l’argomento, è uno studio della Comunità Europea, disponibile gratuitamente per il download al seguente link.

Ovviamente sono a disposizione per qualsiasi dubbio e per altri suggerimenti su testi ed articoli.

Alla prossima!

Simone

Bibliografia e link

Buongiorno a tutti!

Come potete vedere il blog ha due sezioni, una dedicata alla bibliografia ed un’altra invece che riguarda i collegamenti a pagine internet, che dal mio punto di vista sono interessanti per chi abbia voglia di approfondire un po’ l’argomento. Ho iniziato ad inserire nella bibliografia libri ed articoli, dove, trovate il titolo, l’anno di pubblicazione e l’editore. Molti dei libri proposti sono facilmente reperibili nelle biblioteche, mentre gli articoli non sempre sono di facile accesso, sovente è necessario avere accesso ad una banca dati (come ad esempio quelle di molte biblioteche universitarie), mentre altri articoli sono disponibili gratuitamente per il download, in questo caso cercherò sempre di indicare il link.

Per quanto riguarda invece la sezione “Link”, ho iniziato a raccogliere alcuni siti che parlano di intangibles, ci trovate un po’ di tutto: dipartimenti universitari, società di consulenza, portali, communities, siti di “guru” degli intangibles ecc.

Brutta notizia per chi non parla inglese: molto materiale è disponibile solo in questa lingua.

Naturalmente, anche in questo caso, ogni vostro suggerimento è benvenuto e ci permetterà di arricchire i nostri riferimenti.

Stay tuned!

Simone

Si parte!

Oggi inizia l’attività del blog! Come potete leggere più esaustivamente dalla pagina “about”, questo blog si interessa di asset intangibili e di capitale intellettuale, il mio proposito è quello di fare crescere un po’ di interesse intorno a questi temi, utilizzando il blog come strumento, oltre che di pubblicazione di articoli, link, bibliografie e recensioni, come mezzo di discussione, dove tutti sono invitati a partecipare con un loro contributo sui temi trattati.

Questa è la mia prima esperienza come “blogger”, mi occupo di controllo di gestione da qualche anno e mi sono sempre interessato a tutto quello che ruota intorno agli asset intangibili fin da quando andavo all’università. Non mi ritengo un “guru” in materia e nemmeno voglio esserlo, sono piuttosto un appassionato che si è messo in testa quest’idea del blog per vedere che cosa succede.

A mio modo di vedere, il tema è di grandissima importanza nella gestione d’impresa dei nostri giorni, sia per quanto concerne gli svariati problemi di misurazione su cui si sono soffermati in molti, sia per altre caratteristiche di tipo gestionale, legate all’attenzione verso alcuni temi, che, in epoca di crisi, sono sempre più determinanti per la sopravvivenza dell’impresa. I fattori “soft”, come quelli individuati dal capitale intellettuale (persone, relazioni, infrastruttura), risultano essere fondamentali per la performance aziendale. Ma, in realtà, quanta attenzione e quanto tempo dedichiamo alla gestione e alla misurazione (anche solo indicativa), di questi aspetti? Ci siamo mai soffermati ad analizzarli? Sappiamo davvero che cosa siano?

In questo blog tenteremo di dare qualche risposta e magari qualche consiglio, mettendo un po’ di “carne al fuoco” per le discussioni e ci lasceremo andare anche a qualche divagazione.

Naturalmente ogni tipo di commento, suggerimento, critica e qualsiasi altra cosa vi venga in mente è ben accetta!

A presto!

Simone