Che cosa sono gli intangibles?

Una definizione la potete trovare su wikipedia, anche se ad essere precisi riguarda il capitale intellettuale. Ecco già facciamo confusione! Intangibles e capitale intellettuale sono due cose diverse o sono la stessa cosa? Normalmente i due termini vengono usati quasi come sinonimi, anche se negli intangibles (o intangible assets, o meglio ancora nella nostra lingua asset/beni immateriali) rientrano anche quelle che i ragionieri chiamano immobilizzazioni immateriali, ossia brevetti, marchi, software, modelli, diritti di estrazione ecc., mentre nel capitale intellettuale no. Vi è comunque da sottolineare come quando si parli di intangibles si faccia comunque, e soprattutto, riferimento a quei beni, o forse in questo caso è meglio dire risorse, che hanno natura intangibile, ma che, alla stessa stregua degli investimenti materiali sono in grado di produrre ricchezza. Un esempio classico può essere quello delle risorse umane e delle loro capacità, determinanti per il successo dell’impresa. Il capitale intellettuale, viene normalmente classificato secondo la tripartizione tra capitale umano, capitale strutturale e capitale clienti (magari vedremo in qualche articolo successivo come, personalmente, non sia totalmente d’accordo con questa visione, nonostante sia quella più diffusa). Per capitale umano si intende naturalmente quell’insieme di abilità e competenze delle persone che compongono un’organizzazione e che vengono messe a frutto col fine di raggiungere un deteminato obiettivo. Per capitale strutturale invece, si considera l’infrastruttura dell’organizzazione che è al servizio delle persone, per cui in questo ambito rientrano le procedure, le informazioni contenute nei database e più in generale la conoscenza codificata. Quando si parla di capitale clienti, si intende invece, l’insieme di relazioni che vengono instaurate con clienti/partner esterni e che risultano essere fondamentali per l’esistenza ed il successo di un’impresa.

Un modo semplice ed efficace per dimostrare che il valore di un’impresa va oltre i suoi beni materiali, è quello di fare un confronto tra il suo valore contabile iscritto a bilancio (corrispondente al suo patrimonio netto), ed il suo valore di mercato. Naturalmente il raffronto risulta più semplice per le società di capitali quotate, perché abbiamo un parametro immediato come le azioni con cui ci possiamo raffrontare, ma il concetto è assolutamente valido anche per una micro-impresa, direi addirittura più lampante. Come potete vedere dalla rappresentazione grafica qui accanto, il valore di mercato di un’azienda quotata in borsa, dipende solamente in maniera minore dal suo valore di libro ed in larga parte dal valore dei suoi asset nascosti. Immaginiamo ora una piccola, piccolissima impresa, un professionista, un piccolo artigiano, quali investimenti cospicui in beni materiali potrà mai avere? Eppure se decidesse di cedere la sua attività, ne ricaverebbe un valore senza dubbio più elevato. Molto spesso le micro-imprese sono costituite quasi esclusivamente da asset intangibili, come le capacità del professionista, le sue competenze, la sua esperienza, la sua capacità di presentarsi ai clienti ecc. Forse abbiamo scoperto l’acqua calda? La parte difficile sta nel tentare di gestire e misurare questo valore nascosto (…nascosto fino ad un certo punto!), cercando di sostenerlo e valorizzarlo.

Quindi, per dare una definizione un po’ più ortodossa, relativa ad un’azienda quotata, possiamo dire che il valore di mercato di un’impresa, dato dalla somma delle sue azioni, è più alto di quello iscritto in bilancio (patrimonio netto), la differenza, lasciando per un attimo perdere la volatilità e le speculazioni, è rappresenta proprio dai nostri intangibles, che nella maggior parte dei casi hanno un valore assai maggiore rispetto ai beni materiali.

Naturalmente il mio era solo un assaggio, giusto per farvi capire di che cosa stiamo parlando, se siete dei “neofiti” degli intangibles, vi consiglio due testi (che sono presenti anche nella sezione Bibliografia), che io ritengo essere interessanti per chi voglia avvicinarsi a questo mondo. Il primo, è “Capitale Intellettuale” di Thomas A. Stewart, l’autore è un giornalista di Fortune ed è stato forse lui a coniare il termine capitale intellettuale in uno dei suoi articoli degli anni novanta (Fortune, “Brainpower“), mentre il secondo, che ha un approccio più accademico alla tematica è “Intangibles” di Baruch Lev , l’autore è un docente della Stern School of Management di New York ed è stato uno dei primi che ha tentato di dare forma ad una teoria fondativa che descrivesse a fondo le caratteristiche degli asset intangibili. Un altro documento, con un taglio meno divulgativo, ma di eguale importanza vista l’ampiezza disciplinare con cui viene trattato l’argomento, è uno studio della Comunità Europea, disponibile gratuitamente per il download al seguente link.

Ovviamente sono a disposizione per qualsiasi dubbio e per altri suggerimenti su testi ed articoli.

Alla prossima!

Simone