Capitale umano: i miei collaboratori sono felici?

Qualche tempo fa lessi il libro dello psicologo/filosofo Umberto Galimberti “I miti del nostro tempo” e rimasi stupito da alcune frasi che recitano più o meno così: “si parla molto spesso di motivazione del personale, dimenticandosi di un aspetto fondamentale: la felicità”; “ogni apparato tecnico (l’impresa), mal sopporta gli inconvenienti umani: stanchezza, depressione, amori, malattia, maternità e tutti quegli aspetti della vita che confliggono con la regolarità, l’impersonalità e l’efficienza”.

Queste poche parole mi hanno fatto pensare molto, soprattutto perché scritte da un “non addetto ai lavori”, ma forse proprio per questa ragione riescono ad avere un effetto ancora maggiore, probabilmente è proprio la distanza dal mondo aziendale che rende l’analisi efficace e pungente.

Che cosa c’entra questo con gli asset intangibili? Il capitale umano è semplicemente l’asset più importante che un’azienda abbia a sua disposizione. Capita spesso che nelle aziende si dedichi più tempo alla manutenzione delle macchine, che alla cura dei propri collaboratori, che, metaforicamente, alla stessa stregua delle macchine, hanno bisogno di attenzioni continue per funzionare al meglio. Ci ricordiamo sempre di fare la revisione all’auto perché altrimenti non ci lasciano più circolare, ma facciamo lo stesso con i nostri collaboratori? Vi siete mai chiesti se i vostri collaboratori/colleghi siano felici di fare quello che stanno facendo in azienda? E se non è così vi siete mai chiesti il perché? Forse la domanda risulta retorica ed ovviamente non è solo la vita lavorativa che influisce sulla felicità di un individuo, ma credo che sforzarci cercando di rendere la nostra azienda un luogo piacevole, possa essere la chiave di volta per ottenere molti risultati. Con questo mi riferisco non solo a chi nella scala gerarchica gestisce dei collaboratori, ma anche a chi lavorando fianco a fianco con i propri colleghi può influenzare il proprio clima di lavoro.

Personalmente ritengo che considerare la natura umana nella sua totalità, che come ben dice Galimberti, include quegli aspetti che molto spesso vengono mal digeriti in tante imprese, rappresenti la possibilità di aprirsi la strada verso performance aziendali fuori dal comune. Un’imprenditore (o un manager) che riconosca nell’individuo questi aspetti e che li rispetti, fa sentire il dipendente parte della famiglia e lo rende partecipe all’attività d’impresa, perché se l’impresa lo capisce, lo aiuta nei momenti di difficoltà, lo sostiene, è molto probabile che lui faccia altrettanto.

Sappiamo bene quanto possa rendere una persona felice di fare il proprio lavoro in un luogo dove il suo talento viene riconosciuto e dove l’azienda si prende cura di lui.

E lo stipendio direte voi? Eh si anche quello conta, come ci ha insegnato Maslow nella sua piramide, ci sono alcuni bisogni che vengono prima della realizzazione personale. Ancora una volta direi che in un’azienda che ha voglia di eccellere, un sistema retributivo adeguato dovrebbe essere scontato, anche se… “i soldi non fanno la felicità” e aggiungerei nemmeno la performance!

Non chiedetemi se la felicità si possa misurare in modo diretto perché la risposta è scontata, però ci sono alcuni indicatori che ci possono far sentire la puzza di bruciato, come ad esempio l’assenteismo e la disponibilità agli straordinari. Indirettamente ci sono un sacco di avvisaglie che possiamo cogliere, se qualcosa in azienda non va (vendiamo poco, siamo poco produttivi ecc.), proviamo a farci una di quelle domandine, mettiamoci gli occhiali dello psicologo e proviamo a capire perché i nostri collaboratori non sono felici. Attenzione però, accettare tutto ciò significa anche mettere in gioco se stessi.

Per concludere lasciatemi dire che questo modo di agire potrebbe avere delle ricadute sociali notevoli.

Simone